Il dissesto idrogeologico è in crescita, rispetto alla precedente rilevazione del 2015: i comuni italiani a rischio frane e alluvioni sono passati dall'88% al 91%, la superficie territoriale a rischio frane e alluvioni è cresciuta del 2,9%. Le frane registrate in Italia rappresentano circa i due terzi delle frane registrate in Europa. Le frane e le alluvioni, oltre a costituire un grave rischio per l'incolumità dei cittadini italiani (1.850 morti, 2000 feriti, 318.000 senzatetto negli ultimi 50 anni, secondo dati C.N.R. luglio 2018), appesantiscono la finanza pubblica di un notevole onere per riparare i danni (3 miliardi solo per le alluvioni dell'autunno 2018 in 11 regioni). E' quanto emerge da un rapporto elaborato dal Centro Studi Confagricoltura.
Per effetto dei mutamenti climatici, dell'abbandono di molti terreni agricoli e della maggiore impermeabilizzazione del suolo (urbanizzazione), gli effetti distruttivi conseguenti al dissesto idrogeologico del territorio tendono ad aggravarsi in un contesto generale, già precedentemente critico per l'insufficienza degli interventi di prevenzione. Secondo una stima del Ministero dell'Ambiente, le zone agricole sono, dopo strade e ferrovie, maggiormente colpite dai danni da frane, provocati dall'intensità delle precipitazioni meteoriche. Sono conseguentemente, fra le vittime, molti gli agricoltori sorpresi da temporali e fenomeni alluvionali, mentre cercavano di mettere in sicurezza gli animali e i beni strumentali delle proprie aziende.
Riparare i danni costa molto di più che investire nella prevenzione. Nel dibattito politico sugli investimenti in "grandi opere", particolarmente vivace in questo periodo, domina la realizzazione di nuove infrastrutture stradali e ferroviarie per il trasferimento veloce di persone e merci; i danni a tali infrastrutture, causati dal dissesto idrogeologico, sono trattati con attenzione molto inferiore. E' tuttavia ampiamente dimostrato che riparare i danni da frane ed alluvioni costa da tre a quattro volte più degli investimenti necessari per la prevenzione. Secondo un'elaborazione di Legambiente, fra il 1991 e il 2010, a fronte di un investimento per prevenzione di 8,4 miliardi di euro, sono state sostenute spese di riparazione dei danni per 22 miliardi.
Sono stati finanziati solo in parte i progetti regionali per la mitigazione del dissesto idrogeologico. Attualmente, nel quadro del progetto #italiasicura avviato dal Governo Renzi nel 2014 (ora cancellato dal Governo Conte), le Regioni hanno elaborato circa 8.700 progetti per la mitigazione del dissesto idrogeologico, richiedenti complessivamente investimenti per 24,3 miliardi, di cui poco meno di 10 sono stati già effettivamente finanziati. Con la manovra finanziaria 2019 sono stati stanziati ulteriori 900 milioni all'anno per il triennio 2019-2021, nel quadro di un investimento complessivo di più lungo periodo pari a 6 miliardi. Al finanziamento statale si aggiungerà quello delle Regioni. Tuttavia, se l'attuale andamento meteoclimatico si confermerà nei prossimi anni, è prevedibile che la spesa per riparare i danni continuerà ad essere largamente superiore agli investimenti destinati alla prevenzione. Negli ultimi 18 anni (2000-2018), in Italia, le alluvioni catastrofiche sono state, in media due all'anno; nel periodo precedente (1900-1999) erano state sempre inferiori ad una per anno. In particolare, fra il 2000 e il 2009, la frequenza annua delle alluvioni catastrofiche è stata di 1,4, mentre fra il 2010 e il 2018 è salita a 2,6.
A fronte dell'inasprimento delle manifestazioni pluviometriche estreme, d'altra parte, il territorio ha evidenziato un'ulteriore esposizione al rischio idraulico, come si evince dal confronto delle stime di Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nell'arco degli ultimi tre anni di rilevamento (2015-2017): la superficie nazionale a rischio idraulico è passata dal 22,7% al 23,4%, pari ad un incremento di circa 2.000 chilometri quadrati, cioè 200.000 ettari. E' sostanzialmente della stessa misura, sia pure per superfici inferiori, l'incremento del territorio a rischio di frana. In questo caso, è evidente come diminuiscano le superfici a rischio più basso (aree di attenzione), mentre crescono le superfici a rischio più consistente, in particolare medio e alto.
Se le superfici a rischio idraulico e di frana si attestano fra il 20% ed il 23% del territorio nazionale, l'incidenza dei comuni soggetti agli stessi rischi è molto superiore (88-91%), a conferma che le conseguenze di alluvioni e frane si sentono maggiormente nei tanti piccoli comuni rurali del nostro Paese. All'aggravarsi del dissesto idrogeologico contribuisce la crescita dell'urbanizzazione e quindi del suolo denaturalizzato e "impermeabilizzato". Dalla metà degli anni '50, l'incremento del suolo urbanizzato è stato pressoché costante, attestandosi intorno a +164% nel 2017, con la superficie nazionale interessata che è passata dal 2,9% al 7,6%. Le conseguenze di frane ed alluvioni sono più gravi anche per la riduzione della superficie destinata all'uso agricolo, in parte a causa dell'urbanizzazione ed in parte per l'abbandono delle coltivazioni nelle zone meno produttive, rimaste senza il presidio degli agricoltori e della relativa gestione del suolo.
Per quanto ancora influenzati da alcuni adattamenti ed incompletezze nel rilevamento, i dati sul dissesto idrogeologico a livello regionale già evidenziano differenze significative. Le regioni, dove la superficie a rischio per frane (tutti i livelli di rischio) è più rilevante sono la Valle d'Aosta (95% della superficie), seguita dalla Provincia Autonoma di Trento (87%) e dalla Campania (60%); seguono, oltre il
20%: Liguria (58%), Toscana (47%), Molise (30%), Abruzzo (23%), Sardegna (22%).Fra il 2015 e il 2017 migliorano significativamente solo il Piemonte (-19% della superficie a rischio) e l'Emilia Romagna (-1,3%); peggiorano soprattutto Bolzano (+132%), Sardegna (+34%) e Calabria (+28%). Il dato nazionale complessivo segna +2,9% pari ad un incremento della superficie a rischio frane di Kmq. 1.706, ovvero circa 171.000 ettari. Per quanto riguarda la percentuale di superficie regionale a rischio idraulico, si evidenziano ai primi posti l'Emilia Romagna (92%) ed il Veneto (41%); seguono Toscana (39%), Lombardia (37%) e Piemonte (25%).