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ELETTRICITA’ ED ACQUA ALLEATI PER LA SOSTENIBILITA’

Pubblicato il 27/10/2020

E' stato ufficialmente presentato on-line  lo studio "Energy for Water Sustainability", redatto da Althesys ed Enel Foundation, sul rapporto tra acqua ed energia.

Fronteggiare il cambiamento climatico, definendo strategie e misure concrete per sviluppare le sinergie tra il settore elettrico e quello idrico in Italia in termini di "supply security": è questo l'obiettivo al centro della ricerca, che indaga su come la convergenza acqua-energia possa concorrere a raggiungere obiettivi di sostenibilità

Il lavoro stima che l'insieme delle azioni possibili porti a un contributo potenziale di 5,9 TWh annui di elettricità aggiuntiva, con una disponibilità idrica in più di circa 2,8 miliardi di metri cubi. 

I diversi comparti di uso dell'acqua (agricoltura, civile, industria, energia) stanno evolvendo verso gestioni più efficienti, anche trainate dalle "policy" internazionali ed europee. Al contempo, per rispondere al "climate change", sono sempre più necessarie infrastrutture resilienti, nonché collaborazioni tra i vari soggetti coinvolti: dalle "utility" alle imprese industriali, dagli agricoltori alle comunità, dagli enti locali alle istituzioni nazionali.

In questo quadro, alcune attività dell'industria elettrica, oltre al tradizionale idroelettrico, possono offrire soluzioni per ottimizzare la gestione idrica. Parallelamente alcune infrastrutture per l'idrico possono offrire opportunità di sviluppo al sistema elettrico.

Il contributo del comparto elettrico alla sostenibilità idrica può essere significativo, portando molteplici benefici in termini di "water saving" e di tutela del territorio. Differenti possono essere le aree di intervento: dalle nuove tecnologie a fonti rinnovabili ed alla desalinizzazione, dalla geotermia ai pompaggi, dai bacini diffusi all'impiego dei grandi invasi a beneficio dell'agricoltura e della difesa del territorio.

Lo sviluppo delle rinnovabili, in particolare, può portare ad un risparmio idrico molto consistente nel settore energetico. Grazie ad una "water footprint" nettamente inferiore rispetto alle altre fonti, eolico e fotovoltaico potrebbero ridurre i consumi di acqua in Europa fino a 1,6 miliardi di metri cubi al 2030, equivalenti ai consumi annui dei cittadini di una nazione come la Germania.

Per raggiungere la "supply security", sia idrica che energetica, lo studio avanza una serie di proposte, che coinvolgono in modo coordinato i diversi settori (energia, industria, agricoltura, utility) nell'ottica dell'uso plurimo della risorsa. Le direttrici per disegnare una strategia nazionale si articolano su alcune aree principali.

L'ultimazione delle opere incompiute ancora presenti nel nostro Paese consentirebbe una produzione elettrica addizionale, stimata in quasi 30 GWh annui con una disponibilità idrica aggiuntiva di circa 850 milioni di metri cubi.

Il rinnovamento dei grandi bacini idroelettrici, che costituiscono la quota principale dell'attuale generazione rinnovabile, potrebbe fornire  un contributo rilevante non solo sul lato energetico, ma anche su quello idrico. Potrebbero concorrere anche alla gestione del territorio, contenendo il dissesto idrogeologico. Lo studio stima in circa 4 TWh, l'apporto all' "energy supply security" e in 900 milioni di metri cubi, quello alla sicurezza idrica.

Gli accumuli a pompaggio, che sono una delle soluzioni individuate anche nel PNIEC per garantire l'equilibrio e l'adeguatezza del sistema elettrico italiano, potrebbero portare potenzialmente fino a 2,5 TWh di generazione elettrica addizionale. L'attenzione va posta in particolare sulla possibilità di riconvertire infrastrutture già esistenti nel Centro-Sud. La trasformazione di opere idriche, già esistenti, limita l'impatto sul territorio e favorisce l'accettabilità sociale rispetto alla costruzione ex novo. Possono altresì avere ricadute in termini di difesa dal dissesto idrogeologico e di messa in sicurezza del territorio.

Gli impianti di desalinizzazione potrebbero aiutare a fronteggiare la scarsità idrica con investimenti secondo due direttrici: una a più breve termine e di entità più contenuta, l'altra nel medio-lungo periodo e di maggior impegno. Nel primo caso si parla degli impianti nelle isole minori, abbinati a generazione elettrica da rinnovabili. Un piano di più lungo periodo potrebbe, invece, riguardare grandi impianti per fronteggiare la progressiva desertificazione, che toccherà nei prossimi anni le isole maggiori e parte del Meridione.

Altri contributi alla "energy-water supply security" potrebbero arrivare dalle cave e miniere dismesse, recuperando aree con potenziali impatti ambientali  e una capacità di accumulo di acqua, sia per il fabbisogno irriguo che per quello civile. Ugualmente per il ricorso a vasche di laminazione e altri bacini con la possibile associazione dell'opera a piccoli-medi impianti idroelettrici.

Il Piano Invasi, già finanziato con 250 milioni di euro per 30 interventi individuati nel periodo 2018-2022 potrebbe essere una soluzione già pronta e da attivare in tempi brevi. L'obiettivo è andare nella direzione di un Piano nazionale di piccoli e medi invasi di ben più ampia portata e che comporterebbe 20 miliardi di euro in investimenti stimati, con importanti ricadute economiche ed occupazionali per il Paese.

Ad incidere sull'implementazione di questi interventi sono diversi fattori: pianificazione, tempi e risorse finanziarie. Per coordinare al meglio le opere occorre prevedere, anzitutto, un approccio di pianificazione e gestione integrata delle risorse e dei bacini idrici per sviluppare strategie, che coniughino obiettivi ambientali ed energetici. Si dovrebbero massimizzare i benefici derivanti dall'impiego plurimo della risorsa acqua, grazie all'utilizzo efficiente degli invasi e delle altre soluzioni analizzate.

È necessaria pertanto una strategia condivisa di gestione tra i diversi "stakeholder" e che contemperi le esigenze delle comunità locali con quelle del Paese, nel suo complesso. In questa logica è da valutare un'autorità idrica territoriale integrata, finora assente, cui sia affidata trasversalmente la competenza per la pianificazione e gestione complessiva degli utilizzi idrici.

Altro fattore rilevante è il tempo: procedure di valutazione e autorizzazione delle opere eccessivamente dilatate sono alla base dei gravi ritardi nella loro costruzione. Sono necessari percorsi facilitati con tempi certi, "fast track" per attuare efficacemente molti degli interventi, in particolare quelli sulle opere esistenti, per le quali sono già state svolte valutazioni di impatto ambientale e processi di "permitting". Infine, i finanziamenti: oltre a programmi europei connessi al "Green New Deal", serve anche il ricorso a strumenti finanziari specifici, come "green bond", fondi dedicati e "infrastructural fund", in grado di mettere in sicurezza il territorio e l'ambiente.

Molti degli interventi potrebbero inoltre entrare a pieno titolo nel Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza in corso di definizione per l'accesso agli strumenti europei per rispondere agli effetti della pandemia.

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