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ARTICOLO 1 - AL VALORE DELL’ACQUA DEVE CORRISPONDERE UN COSTO?

Pubblicato il 02/08/2023

ARTICOLO 1 - AL VALORE DELL'ACQUA DEVE CORRISPONDERE UN COSTO? UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE IN CORSO SULL'APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO "CHI INQUINA PAGA" E SUL "PREZZO DELL'ACQUA" PER L'AGRICOLTURA

A. Battilani, R. Zucaro, C. Truglia, M. Gargano

ANBI, CREA-Centro di ricerca Politiche e bioeconomia

 

Quasi senza accorgercene, in pochi anni siamo passati dalla necessità di ripartire in maniera corretta e sostenibile le risorse idriche disponibili alla gestione di una perdurante scarsità idrica ed infine ai conflitti intersettoriali conseguenti ad una siccità di intensità ed estensione mai sperimentata nel nostro Paese.

Il rapido aggravarsi della crisi idrica nazionale e continentale ha costretto a scelte difficili e comportato gravi perdite economiche, ambientali e sociali, aggravate dal disastro idrogeologico che ha colpito molte aree del paese al ripresentarsi delle precipitazioni.

In un quadro generale che evolve con una rapidità che non cessa di sorprendere, in un momento in cui letteralmente i record in tema di disastri climatici e naturali restano imbattuti a volte solo per qualche giorno, la narrativa e l'azione politica in materia di acque sembra quanto mai inerziale. Una sorta di "slow-motion" che nell'inseguire una strategicità nel lungo periodo, non riesce ad adeguarsi e rispondere alle drammatiche urgenze del presente.

Ed è purtroppo quanto sofferto nel presente che definisce la capacità futura di perseguire linee strategiche di lungo periodo.

Banalmente, le aziende duramente colpite dalla siccità del 2022 e dei primi mesi del 2023, ed ora da grandine, piogge intense, alluvioni, non avranno per gli anni a venire la necessaria capacità di investimento per perseguire stringenti politiche di adattamento, che non sono mai a costo zero per i settori produttivi. Non basterà una buona annata per restituire resilienza al sistema produttivo primario.

Non è una sorpresa. A differenza di altri settori produttivi l'agricoltura, e quella irrigua in particolare, è notoriamente un comparto caratterizzato da una altissima intensità di capitale cui corrispondono flussi di cassa estremamente limitati. In altri termini l'agricoltura irrigua richiede immobilizzi finanziari il cui rendimento annuo è storicamente basso.

Gli investimenti fatti nel passato, anche recente, in termini di modernizzazione delle infrastrutture e delle tecnologie irrigue hanno avuto lo scopo di offrire importanti opportunità ai territori agricoli, basandosi su di un sicuro accesso alla risorsa con modalità ed in quantitativi talvolta sub-ottimali ma mai critici o decisamente insufficienti a sostenere il reddito o persino a garantire le colture poliennali.

Gli eventi climatici estremi ed il dissesto idrogeologico colpiscono con particolare forza le infrastrutture idrauliche, le filiere di produzione, l'accesso ai mercati di riferimento, rendendo più lento, oneroso e soprattutto incerto il recupero delle capacità produttive e dunque il ritorno alla normalità finanziaria condicio sine qua non per poter garantire un impegno economico di lungo periodo come l'adattamento al cambiamento climatico.

Temiamo che a coprire i costi di adattamento non saranno sufficienti i teorizzati vantaggi economici offerti da una gestione sostenibile delle risorse e del processo produttivo, perlomeno nelle prime fasi del ciclo di investimento. A questo riguardo si sconta la scarsa gradualità degli investimenti necessari ad una conversione in chiave ecosostenibile, cui fa da contraltare l'isteresi tra l'avvio di una gestione sostenibile e la monetarizzazione dei benefici da essa prodotti.

L'incertezza è la cifra che caratterizza questa tormentata transizione verso una gestione maggiormente sostenibile dell'agroecosistema. Un incerto accesso ad indispensabili risorse idriche produce un effetto domino sulle filiere produttive, con riflessi importanti su settori apparentemente distanti da quello primario.

In un mercato agroalimentare largamente dominato da contratti di produzione di tipo industriale, che si riferiscono a commodities, frequentemente gravati da penalità e che non incorporano nelle politiche di prezzo le dinamiche sempre più incerte di produzione ma, al contrario, vincolano il produttore a termini stringenti di consegna per quantità e tempi, standard qualitativi, garanzie di salubrità all'origine, si producono effetti imprevedibili ed indesiderati.

Uno di questi è la migrazione, a volte temporanea a volte definitiva, di produzioni strategiche a sostenere industrie agroalimentari, logistica, industria meccanica e tecnologica ed in definitiva i livelli occupazionali di un intero territorio.

Non si contano gli esempi di aziende aventi la necessaria massa critica e capacità organizzativa che hanno negli ultimi anni dislocato parte delle produzioni in aree ritenute a minor rischio. Una normale pratica di mitigazione del rischio di fallimento delle colture e di mancato soddisfacimento dei contratti sottoscritti.

Ma che succede al tessuto produttivo formato dalle piccole aziende incapaci di perseguire queste scelte di riduzione del rischio? Esse regrediscono frequentemente a produzioni a grande marginalità economica, entrando in una spirale negativa che, se non prontamente interrotta, le porta all'abbandono dell'attività.

In un sistema produttivo in cui i fattori di incertezza, e quindi il rischio intrinseco, sono in rapido aumento è opportuno introdurre ulteriori elementi di rischio?

È questa la domanda che dovrebbe porsi chi, da lungo tempo, insiste sulle dinamiche del prezzo, come fattore di grande efficienza per ridurre gli "sprechi" di preziosa risorsa idrica di cui l'agricoltura è ritenuta responsabile.

Logiche basate su pur valide analisi effettuate in quasi due decenni dell'era ante-pandemia potrebbero non essere più applicabili in questi nuovi contesti produttivi senza pericolosi ed imprevedibili trade-off.

La disomogeneità sia dei fattori pressori che agiscono sulla tenuta socioeconomica dell'agricoltura irrigua che delle condizioni di applicazione delle regole Europee, inevitabilmente aggraverà quei differenziali nei potenziali di rischio che già oggi sono alla base delle sopracitate dislocazioni produttive.

Non è difficile immaginare che le politiche di prezzo più stringenti per la risorsa idrica dovranno applicarsi ove questa è più scarsa, a tutela del bilancio idrico di bacino, mentre saranno meno sentite e più facilmente osteggiate ove la risorsa è meno scarsa o minacciata.

Il dare un prezzo all'acqua potrebbe non ribadirne il valore ma piuttosto trasformare l'indispensabile risorsa in un bene il cui prezzo potrà essere corrisposto solo da produzioni con alta monetarizzazione. Si badi bene, non alta reddittività, ma capaci di generare congrui flussi finanziari. La produzione di beni comuni, di servizi ecosistemici, non produce flussi di cassa ma, stante la stessa narrativa alla base delle scelte di sostenibilità, produce reddito indiretto e garanzie di tenuta dei sistemi produttivi.

Per evitare gli effetti nefasti che potrebbe produrre l'applicazione del paradosso secondo il quale "è più redditizio irrigare un turista che un campo di mais", serve un moto regolatorio e normativo che non insista ciecamente sulla revisione del principio di "chi inquina paga", ma che perseguendo l'intento di incorporare i costi ambientali della risorsa - intuitivamente più alti nel caso del turista – non si trasformi in un fattore di disequilibrio tra regioni europee e di perdita di competitività delle stesse produzioni locali che altre politiche comunitarie sostengono.

Purtroppo, l'idea che larga parte della popolazione ha della pratica irrigua, considerata responsabile di enormi sprechi di risorsa idrica ed inquinante, non rende giustizia ad un settore che nell'ultimo ventennio ha fatto enormi passi in avanti e che continua ad attuare, tra mille difficoltà, un costante processo di modernizzazione.

Nonostante sia evidente e da tempo riconosciuto che la domanda idrica agricola è funzionale alla sicurezza e sovranità alimentare, alla salute pubblica ed alla crescita economica[1],[2], si continua a focalizzare l'attenzione sui principali impatti sull'agroecosistema dell'attività agricola. Questi riguardano l'eccessiva irrigazione, fertilizzazione e uso di pesticidi e diserbanti. Le cause sono semplicisticamente identificate in sistemi di irrigazione inefficienti ed egoistiche aspettative economiche dei produttori agricoli che assumono comportamenti produttivi atti a massimizzare il rendimento economico.

Questa narrativa non coglie che in minima parte la complessità delle interazioni esistenti in un sistema produttivo come quello agricolo e agroalimentare. Ma soprattutto, non definisce quali scelte ricadano nelle capacità del produttore agricolo e quali siano semplicemente scelte obbligate imposte da fattori esterni.

La soluzione che viene costantemente proposta è quella di spostare le produzioni dalle attuali colture idroesigenti ad altre a minore o nulla necessità idrica. Sfortunatamente, gli estensori di questa proposta per un nuovo modello produttivo continuano a fallire nell'indicare quali colture, quale meccanizzazione è necessario adottare e quanto di quella disponibile potrà essere riconvertita, a quali mercati riferirsi, quali linee di stoccaggio, logistica e commercializzazione sono in essere per garantire la collocazione del prodotto, quali aspettative di prezzo e quale volatilità debbano essere considerati, quali volumi di prodotto il mercato è in grado di assorbire e quale sia il target di consumatori che li sostiene. Questa proposta di un radicale cambio di indirizzo produttivo pare avere solo radici idealistiche, bucoliche, e non trova sostegno in una analisi dei trade-off che possa rendere misurabile e oggettivo quanto sia il vantaggio o più probabilmente, almeno in una fase iniziale, lo svantaggio economico e lo sforzo di investimento sofferti dall'imprenditore agricolo per generare un beneficio collettivo. In pratica, si pretende che l'imprenditore agricolo assuma su di sé la gran parte del rischio in un contesto marcato da eccessiva incertezza e fragilità strutturale delle linee mercantili, in nome di una riduzione degli impatti diretti e indiretti che le esternalità negative dell'agricoltura hanno sulla produzione di servizi ecosistemici. Il ristoro atteso del valore stimato dei servizi ecosistemici che la natura provvede ai servizi produttivi è certo ingente[3], ma in molti casi l'aspettativa teorica non ha resistito all'analisi della realtà, alla valutazione estesa del ciclo di vita del prodotto o del processo produttivo, risultando la modificazione indotta ininfluente o persino dannosa. Un approccio analitico esteso ed approfondito potrebbe infatti rivelare che gli impatti negativi sono stati semplicemente spostati dal campo ad una altra componente della filiera, magari riducendo la pressione su alcuni indicatori ma aumentandola grandemente per altri. In ogni caso il vantaggio netto risulta inferiore alle attese in termini economici ma purtroppo frequentemente anche in termini ambientali.

L'eccessiva irrigazione dipende in gran parte dalla tecnologia adottata e dalla qualità e facilità di accesso dell'agricoltore ad informazioni come le proprietà del suolo, il clima, la fenologia, la biologia dei patogeni e delle infestanti, la resa attesa ed altri aspetti agronomici e produttivi. Si tratta di aspetti di hard o di soft innovation, i primi maggiormente nelle corde ed alla portata degli agricoltori mentre i secondi richiedono, come richiamato e richiesto dall'Europa, l'intervento strutturato di un sistema di trasferimento continuo della conoscenza (Agricultural Knonowledge Information System – AKIS), o l'intervento di aziende private che commercializzano un servizio od uno strumento informatico. L'implementazione di tecnologie ad alta efficienza è in costante aumento, così come l'offerta di sistemi di supporto alla gestione dell'irrigazione, quest'ultima proattivamente sostenuta con investimenti propri dagli stessi Consorzi di Bonifica.

L'effetto combinato di questo processo di modernizzazione ha permesso di orientare l'agricoltura irrigua prima verso obiettivi di risparmio idrico ed ora verso una sostenibilità di lungo termine che abbraccia aspetti più ampi della semplice riduzione dei volumi distribuiti al campo.

I risultati, valutati su larga scala[4], mostrano che in aree aride della Spagna il prelievo si è ridotto del 10% circa a fronte di un costante aumento del fabbisogno idrico delle colture e degli agroecosistemi, in linea con i modelli che stimano un aumento dei prelievi tra il 20% ed il 45% al 2080[5],[6], e parallelamente delle perdite di distribuzione (+20%)[7].

La pratica irrigua è anche considerata alla radice dell'eccessiva fertilizzazione e del trasporto di nutrienti, azoto e fosforo in particolare, verso le acque superficiali e sotterranee, causandone il deterioramento qualitativo. Questa assunzione, alquanto generica, implica che l'inquinamento diffuso di un territorio sia dovuto unicamente all'attività agricola. Non si tiene in alcun conto il fatto che dove si interviene con la modernizzazione delle strategie e delle tecnologie irrigue, si adotta ove possibile la fertirrigazione, che riduce sensibilmente i quantitativi di fertilizzanti distribuiti, riducendo il rischio di lisciviazione o ruscellamento e aumentandone nel contempo l'assorbimento degli stessi dalla pianta e la loro conversione in biomassa. Inoltre, la razionalizzazione nella pratica irrigua fa sì che solo in seguito a precipitazioni importanti vi sia una fuoriuscita di preziosa risorsa idrica dall'orizzonte radicale.

La Direttiva Quadro sulle Acque dell'UE (DQA) ha istituito un approccio normativo integrato per garantire che tutti i corpi idrici nell'UE raggiungano buono stato qualitativo ed ecosistemico. In questo quadro, la DQA promuove l'implementazione a livello nazionale del recupero dei costi ambientali come parte di una politica di tariffazione dell'acqua intesa ad utilizzare la leva economica per aumentare l'efficienza dell'uso dell'acqua in agricoltura[8]. L'applicazione di una tariffa volumetrica definita su criteri amministrativi e calcolata sui costi ambientali per un territorio necessariamente ampio, afferente al punto di chiusura del bacino idraulico dove gli impatti possono essere misurati, nel colpire un settore produttivo a cui si ascrive l'intera responsabilità per l'inquinamento diffuso penalizza quegli imprenditori che all'interno del medesimo bacino hanno investito in tecnologie e know-how contribuendo fattivamente a ridurre l'inquinamento. In sintesi: il costo ambientale viene ripartito su tutte le utenze e gli investimenti privati fatti per ridurre la pressione quanti-qualitativa sui corpi idrici restano in gran parte a carico del singolo produttore. Il contributo offerto dalla politica agricola comune non è sufficiente a sciogliere questo nodo.

Le recenti gravi e ricorrenti siccità hanno confermato quanto un paradosso più volte sollevato abbia gravemente inficiato l'efficacia proprio di quella modernizzazione delle tecnologie di distribuzione irrigua che tanto sforzo economico sono costate sia alle casse pubbliche che all'imprenditoria agricola. Perché l'utilizzo di tecniche e tecnologie irrigue che implicano riduzioni dell'irrigazione possa essere efficiente in termini economici è necessario un costante accesso alla risorsa idrica.

L'applicazione di tecniche irrigue ad altissima efficienza, come la subirrigazione a goccia con bassa portata, combinata ad una programmazione irrigua guidata da sistemi informatici di supporto alle decisioni o modelli gestionali limitano l'utilizzo di acqua irrigua[9],[10]. Combinando strategie di essiccamento parziale della zona radicale[11] (attendere per iniziare le irrigazioni finché l'umidità del suolo non scende al di sotto di una data soglia) e di irrigazione deficitaria[12], il risparmio idrico è ancora più marcato.

Si è potuto osservare che, quando altre fonti di umidità sono limitanti (ad es. precipitazioni, acqua del suolo), la contrazione degli utilizzi irrigui programmata riduce significativamente la resilienza del sistema, già stressato sino ai suoi limiti massimi artificialmente, ed al mancare del regolare approvvigionamento irriguo il valore economico della produzione collassa.

Inoltre, si sta osservando sempre più frequentemente come la modernizzazione dell'irrigazione e la riduzione dei fertilizzanti comporti perdite produttive che, pur se tollerabili, non remunerano certo gli investimenti fatti.

Nel contesto di una crescente incostanza nelle precipitazioni e di un probabile taglio alle quote irrigue allocate, il ridurre l'acqua utilizzata nella produzione agricola può esporre l'agricoltore a rischi economici.

Per questa ragione si produce il tanto discusso effetto rebound per cui ove si realizza un risparmio idrico questo viene reimpiegato per sostenere altre produzioni e non restituito all'ambiente.

Mentre crescono le preoccupazioni per il prosciugamento permanente delle aree irrigue, alcuni paesi extra-europei stanno sperimentando forme di trasferimenti temporanei di acqua tra produttori agricoli o dall'agricoltura ad altri settori produttivi[13]. I trasferimenti temporanei mantengono i diritti sull'acqua e gli agricoltori che garantiscono un minore utilizzo adottando pratiche di coltura, raccolta e irrigazione che portino ad un risparmio idrico possono scambiarlo o cederlo[14],[15]. Si introduce un fattore di elasticità nella gestione a scala di distretto irriguo, ove il risparmio di alcuni può sostenere le necessità di altri, e potrebbe motivare piani colturali aziendali in cui si preferisce una coltura meno idroesigente anche se meno redditizia, ad esempio il sorgo in sostituzione del mais, avendo la possibilità di compensare il differenziale di reddito pur godendo di un minore rischio e minore costo colturale. Si trasforma il risparmio idrico in una compensazione della perdita di reddito che evita l'effetto rebound e contiene il rischio economico. Un approccio premiale e di mercato diametralmente opposto all'imposizione di un prezzo della risorsa come strumento di regolazione degli usi.

Mentre le popolazioni mondiali si confrontano con le future sfide idriche, la gestione agricola dell'acqua nelle aree colpite da ricorrente scarsità idrica potrebbe aprirsi a scenari "pianificati" come gli accordi collaborativi di condivisione dell'acqua che generano crediti finanziari per la condivisione dell'acqua[16]. Una pratica che, dove applicata, ha riscosso il consenso della popolazione[17].

Dal momento che l'agricoltura è stata e continuerà ad essere il maggior utilizzatore di acqua in molte regioni, i gestori agricoli devono affrontare un aumento della pressione per adottare sistemi di gestione dell'acqua in azienda che "liberino risorsa", di fatto sottraendola al comparto della produzione primaria agroalimentare.

Il quadro è complesso, ma appare evidente come ogni soluzione comporti nuovi rischi e soprattutto come la via tracciata alla fine del secolo scorso, in un contesto climatico, geopolitico e di mercato molto più stabile, potrebbe non essere la sola che porta ad una gestione sostenibile della risorsa idrica.

Serve più Europa per correggere indirizzi e tendenze che in Europa si sono generati, come serve una applicazione flessibile e sartoriale a livello locale ma soprattutto nella ricerca di un equilibrio tra territori e comunità. Non solo all'interno di un bacino idrografico o amministrativo ma nel contesto di più ampi bacini socioeconomici.


[1] UN, 2020. United Nations World Water Development Report 2020: Water and Climate Change. United Nations Educational. S.l.

[2] FAO, 2012. Coping with Water Scarcity. An Action Framework for Agriculture and Food Security (No. 38), FAO Water Reports. Food And Agriculture Organization Of The United Nations, Rome.

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[4] Camacho, E., Rodríguez-Díaz, J.A., Montesinos, P., 2017. Ahorro de agua y consumo de energía en la modernización de regadíos. Efectos de la modernización de regadíos en España. J. Berbel and C. Gutiérrez-Martín. Almería, CAJAMAR CAJA RURAL. Serie Economía. 30

[5] Konzmann, M., Gerten, D., Heinke, J., 2013. Climate impacts on global irrigation requirements under 19 GCMs, simulated with a vegetation and hydrology model. Hydrol. Sci. J. 58 (1), 88e105. Taylor & Francis

[6] Fischer, G., et al., 2007. Climate change impacts on irrigation water requirements: effects of mitigation, 1990e2080. Technol. Forecast. Soc. Change 74 (7), 1083-1107

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[10] H. Wang, N. Wang, H. Quan, F. Zhang, J. Fan, H. Feng, M. Cheng, Z. Liao, X. Wang, Y. Xiang, Yield and water productivity of crops, vegetables and fruits under subsurface drip irrigation: a global meta-analysis, Agric. Water Manag. 269 (2022) 107645.

[11] M.O. Adu, D.O. Yawson, F.A. Armah, P.A. Asare, K.A. Frimpong, Meta-analysis of crop yields of full, deficit, and partial root-zone drying irrigation, Agric. Water Manag. 197 (2018) 79–90.

[12] E. Fereres, M.A. Soriano, Deficit irrigation for reducing agricultural water use, J. Exp. Bot. 58 (2007) 147–159. [25] S. Geerts, D. Raes, Deficit irrigation as an on-farm strategy to maximize crop water productivity in dry areas, Agric. Water Manag. 96 (2009) 1275–1284.

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[16] R. Chengot, J.W. Knox, I.P. Holman, Evaluating the feasibility of water sharing as a drought risk management tool for irrigated agriculture, Sustainability 13 (3) (2021) 1456.

[17] J. Stone, M. Costanigro, C. Goemans, Public opinion on Colorado water rights transfers, J. Agric. Resour. Econ. 43 (3) (2018) 403–422.

Modificato in data 02/08/2023 15:37

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