Un seminario di "Water Alliance" (sigla, che riunisce alcuni gestori lombardi del servizio idrico integrato) è stata l'occasione per fare il punto sulle prospettive d'utilizzo delle acque reflue in agricoltura. Al di là di alcune specifiche iniziative in giro per l'Italia, l'atteggiamento resta ancora prudente, soprattutto sull'ipotesi di riutilizzo diretto con reti dedicate, così come richiesto dalla normativa dell'Unione Europea. Il sistema consortile guarda con interesse a tutte le fonti integrative, soprattutto laddove le risorse idriche sono meno disponibili, ma è necessaria chiarezza su tanti aspetti. Lo ha ribadito Luigi Lecchi, vicepresidente di ANBI Lombardia, nel corso della tavola rotonda con la partecipazione di rappresentanti delle organizzazioni agricole e delle "multiutility".
Oltre ai fondamentali aspetti di sicurezza qualitativa a garanzia delle produzioni agricole resta aperto il tema degli investimenti necessari per la realizzazione di reti separate per la distribuzione delle acque depurate. Nelle aree della pianura padana servite dall'irrigazione a scorrimento, il rapporto costi/benefici sembra ancora lontano da giustificare interventi di questo tipo, fatte salve alcune situazioni puntuali, come riconosciuto da recenti studi del Politecnico di Milano.
Sull'ampliamento del riuso diretto pesano in maniera considerevole anche i ventilati aspetti tariffari. La prospettiva di un utilizzo di queste acque in agricoltura, gravato da tariffe a carico degli utenti irrigui, è emersa senza troppi infingimenti. Nel corso della tavola rotonda si è prospettato addirittura, seppure in termini dichiaratamente provocatori, una sorta di mercato di "certificati blu", sulla scorta di quelli verdi, per le aziende agricole ad alto consumo di acqua. L'ipotesi di un sistema tariffario trova la netta contrarietà dei consorzi di bonifica e delle organizzazioni agricole, in quanto minerebbe la natura stessa dell'irrigazione collettiva consortile, basata sull'autogoverno.